Mario
2015-01-01 17:23
Il primo a descrivere un metodo per la determinazione della durezza dell’acqua fu Thomas Clark,un professore scozzese di chimica che lavorava al Marischal College di Aberdeen.
Nel marzo del 1841 fu dato alle stampe un suo brevetto che descriveva come eseguire questa importantissima analisi. Disporre di un metodo rapido e preciso per misurare il contenuto calcareo di un’acqua era a quei tempi essenziale per la nascente industria che affidava al vapore la sua energia motrice. Anche molte altre attività, dalle cartiere a quelle alimentari, ne avrebbero parimenti tratto giovamento, migliorando così la qualità dei loro manufatti e/o prodotti.
E’assai probabile che le pubblicazioni del Clark fossero ben conosciute in Francia, ma qui la grandeur prese il sopravvento e pochi anni dopo, un farmacista di nome Antoine François Boutron, più tardi affiancato da Felix-Henry Boudet, professore all’Ecole de Pharmacie, proposero tutta una serie di migliorie al metodo originale, sopratutto per quanto concerne la vetreria impiegata, e lo denominarono idrotimetria, termine derivante dalla contrazione dei termini greci ὕδωρ – τιμή – μέτρο (acqua – valore – misura).
Grazie alle modifiche introdotte, non era più necessario spedire l’acqua ad un laboratorio, bastava portarsi dietro una pratica cassetta di legno, al cui interno era contenuto tutto il necessario per l’esecuzione del test. Erano sufficienti pochi minuti e un minimo di esperienza per ottenere il risultato desiderato.
Oggi questo metodo di analisi è caduto in disuso, sopratutto dopo l’avvento del metodo complessometrico nei tardi anni ’50, che era più preciso e di ancora più facile applicazione.
Rimane tuttavia intatto il fascino che questa obsoleta metodica analitica emana e l’occasione per farla emergere dall’oblio mi è capitata recentemente quando, in una bancarella dell’usato, ho intravisto (integra!) la speciale buretta originale e il foglietto delle istruzioni. Mancava purtroppo il resto dell’armamentario, ma non mi sono perso d’animo. Continuando a frugare è saltata fuori anche la cassetta, ma era davvero in brutte condizioni, non so se varrà la pena di restaurarla. La boccetta per la titolazione me la sono procurata tempo dopo su ebay. Mancava ancora la soluzione del sapone. Può sembrare strano, ma ancora oggi è in vendita. Nonostante ciò, ho deciso di prepararmela, tanto per togliermi la soddisfazione.
Il metodo originale di Clark parlava di un sapone sodico preparato a partire dal sego animale, ma l’incostanza qualitativa della materia prima e l’approssimazione del metodo di saponificazione ben presto imposero di usare grassi di più facile saponificazione, come ad esempio l’olio di oliva. Rimaneva il problema della purezza del sapone ottenuto e della stabilità nel tempo delle sue soluzioni. Basti pensare che a quel tempo la soda caustica conteneva quantità non trascurabili di sali alcalino-terrosi e che la loro completa eliminazione era tediosa e costosa. Si tentò allora una via alternativa, traendo spunto dai preparati galenici. Erano in quel periodo assai usati i cosidetti empiastri dïàchilon (dal greco διάχυλον che significa pieno di succhi), in pratica una specie di pappetta medicamentosa con proprietà adesive a base di saponi di piombo che veniva impregnata di principi attivi e applicata sulle parti anatomiche esterne del malato alfine di lenirne i dolori o curare le parti inferme.
Nel nostro specifico caso si preparava il sapone di piombo da solo, scaldando l’olio di oliva con del litargirio (ossido di piombo PbO) in presenza di poca acqua. Poichè si usavano materie prime facilmente ottenibili allo stato di elevata purezza ed esenti da metalli estranei, il sapone di piombo era di conseguenza privo di inquinanti. Seguiva la trasformazione in sale sodico o potassico mescolando intimamente in un mortaio del carbonato alcalino con dello spirito di legno (alcole metilico ottenuto per distillazione a secco del legno) che aveva la funzione di estrarre il sapone alcalino man mano che si formava. Rimaneva un residuo di carbonato basico di piombo insolubile che veniva scartato.
Per evidenti motivi non ho optato per questa via preparativa e ho scelto una più tranquilla sintesi partendo da olio di oliva e soda caustica per analisi. I dettagli operativi sono già stati descritti in un precedente post.
Una volta ottenuto il sapone, si passa a preparare la soluzione titolante vera e propria.
Si sciolgono in un bottiglione di vetro munito di tappo a vite 60 g di sapone in 800 g di alcool etilico a 90° aiutando la dissoluzione con l’agitazione e il riscaldamento a bagnomaria a circa 50 °C. Si diluisce poi con 500 ml di acqua. Si lascia decantare per alcuni giorni e si preleva la parte superiore limpida scartando le mucillaggini rimaste sul fondo. La soluzione di sapone così ottenuta deve essere standardizzata e in seguito opportunamente diluita in modo che un certo volume di essa (vedremo nel metodo di analisi di che volume si tratta) reagisca esattamente con 40 mL di una soluzione avente durezza pari a 22,5 °F.
Ecco allora che si prepara una soluzione avente durezza pari a 22,5 °F. Non seguiremo le raccomandazioni indicate da B.&B che usavano cloruro di calcio fuso nè impiegheremo del nitrato di bario come suggerito da altri. La via migliore è ancora quella proposta dal Clark, ma noi useremo del CaCO3 perfettamente puro in sostituzione dello spato d’Islanda. Se ne pesano 225 mg, i quali sono dissolti nella minima quantità necessaria di HCl e portati a volume in un matraccio tarato da 1000 mL.
Di questa soluzione ne preleveremo 40 ml e la titoleremo con la soluzione di sapone allo stesso modo previsto per la determinazione della durezza in un campione incognito. Se si è usato del sapone di buona purezza avremo una soluzione più concentrata del necessario, per cui diventa imperativo diluirla opportunamente con alcole etilico al 56%.
Arrivati a questo punto abbiamo tutto il necessario per l’esecuzione del test.
In allegato troverete la trascrizione della procedura come si presentava nel foglio di istruzioni in dotazione alla cassetta. Qui sotto troverete una versione semplificata sul come procedere. Per i dettagli sul come caricare e maneggiare la buretta rileggete bene le istruzioni appena menzionate.
Si versano nella bottiglietta graduata 40 ml dell'acqua da esaminare. Si mette una goccia di soluzione allo 0,1% di fenolftaleina e si aggiunge NaOH 0,1N (oppure HCl 0,1N) fino ad aversi un lieve arrossamento della soluzione. Questo corrisponde ad un pH di circa 8. Con l’ausilio della buretta si titola dapprima in modo approssimativo aggiungendo porzioni di soluzione titolante corrispondente a circa 5 °F e agitando fortemente il contenuto finchè si formi una schiuma persistente. In questo modo si cerca di individuare con una certa approssimazione la durezza presente e si evitano le numerose e tediose agitazioni successive ad ogni minima aggiunta di titolante.
Si prosegue prelevando altri 40 mL di campione e ripetendo le stesse operazione, ma poichè stavolta sappiamo all’incirca il volume necessario, possiamo procedere con piccole aggiunte di titolante in modo da individuare con esattezza il viraggio, che avviene quando si forma una schiuma alta circa 5 mm e persistente per alcuni minuti. La durezza viene letta direttamente sulla graduazione della buretta.
Nota importante: per bassi valori di durezza (meno di 2 °F) il metodo di B&B non fornisce valori affidabili perchè il sapone non reagisce in modo stechiometrico. In questi casi si preferisce aggiungere un volume supplementare di soluzione a durezza nota e procedere come indicato. Valori di durezza superiori a 38 °F non possono esere misurati con precisione per la tendenza alla formazione di grumi di sapone nel corso della titolazione. In questi casi si prelevano aliquote da 10 o 20 mL e si diluiscono a 40 con acqua distillata.
Immagini e dettagli della buretta di B&B
http://www.imagestime.com/show.php/998513_BBburette12.8g.jpg.html
http://www.imagestime.com/show.php/998514_BBburetteingr.jpg.html
http://www.imagestime.com/show.php/998515_BBburette.jpg.html scala graduata della buretta (fronte e retro)
saluti
Mario
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