Mario
2016-03-08 15:49
Il Paese dei balocchi esiste. Sarebbe più corretto dire che è esistito. E' durato pressappoco una sessantina d'anni a partire dalla metà del secolo scorso.
Ebbene, questo libro parla dei sessant'anni che lo precedettero.
Nuto Revelli lo volle intendere come una testimonianza, un ritratto di come era il mondo delle campagne cuneesi circa un secolo fa.
Lui lo conosceva bene e quei racconti di vita li andò a recuperare, armato di magnetofono, tra coloro che ancora ricordavano, conscio di dover salvare dall'estinzione storie di esistenze miserabili prima che diventassero troppo incredibili per essere credute.
Non che nel resto dell'ancora giovane Regno si stesse meglio. Anzi, come si evince qua e là tra le pagine, la miseria era un assai comune denominatore. Il terzo mondo era allora tra noi e, giova ricordarlo ai più distratti, distante solo tre generazioni.
In quella fornace di degrado consumavano la loro esistenza, tra stenti e pivazioni, milioni di persone, vinte per l'appunto e rassegnate al loro tragico fato.
Non a caso la parola giocattolo compare una sola volta e bisogna aspettare la pagina 557, quasi in fondo al libro. Ma il termine miseria è ubiquitario (116 volte) e ancor più guerra (477). Sono da podio anche fame e pane in questa triste classifica.
Mi mancano persino le parole per continuare. Preferisco lasciare a qualche brandello racimolato tra le pagine l'essenza di cosa viene descritto.
Nel 1900 qui vivevano (a Canosio ndr) quattrocentocinquanta perso-
ne, settanta i bambini a scuola. Erano molte le famiglie
che avevano dalle sei alle dodici vacche, ma c’erano an-
che le famiglie con una vacca o due. L’emigrazione era
tutto, era indispensabile. La Francia era la nostra secon-
da patria.
Preit, con i suoi pascoli, aveva bisogno di bambini in
affitto. Fino al 1870 i bambini affittati costavano niente.
Poi, con l’inizio dell’emigrazione verso la Francia, biso-
gnava già pagarli. Il mercato dei bambini era a Prazzo, in
occasione della fiera dell’Annunziata. Nel 1935 un bam-
bino di dieci anni, affittato, guadagnava quattrocento li-
re, il costo di un vitello, da giugno a settembre. Nel con-
tratto il padrone regalava al bambino un paio di scarpe
o un vestito
.....................
Nel Veneto c’era una miseria ancora più gros-
sa che nelle nostre valli, là il pane non lo vedevano mai.
Io le province del Veneto le ho passate tutte. Comprava-
mo solo trecce nel Veneto,i cavei del gente non ci inte-
ressavano. Partivamo verso la fine di settembre, tornava-
mo a Elva ai primi di giugno. Se mi faceva pena tagliare
le trecce alle belle ragazze? Oh, solo arrivarci... Il nostro
problema era di lasciare sulla testa delle ragazze solo più
una corona di capelli. Le ragazzine di dieci dodici anni
piangevano. Ma le madri avevano bisogno di soldi e ci
facilitavano il lavoro. Quante trecce ho tagliato a Udine!
Pagavamo cinque o dieci lire per treccia, ma le lire di al-
lora valevano di più dei biglietti da mille di adesso. An-
davamo da un paese all’altro, camminando.
.......................
La mia era una casa povera, lungo il Belbo: due
giornate di terra, e undici figli. Ma tre sono morti piccoli,
sono morti nel 1919 di febbre spagnola.
l’era tüc cugià,pare, mare, tüc, mi sula che sventavu (Erano tutti coricati, padre, madre, tutti, io sola che lavoravo)
l’ho presa. Una notte me ne sono morti tre, eh,
sun ’ndaie a sutré tüc mi (sono andata io a seppellirli)
Sono andata dal falegname,
le casse le ha fatte lui. Sono andata da lui, gli ho
detto che facesse tre casse, le ha fatte subito, io ero una bambina.
Mangiare patate, polenta, castagne, ne avessi avuta
della polenta per togliermi la fame. Se ci penso... A
contare queste cose i giovani dicono che i’eru foi,, che
eravamo stupidi.
...........................
La mia famiglia era numerosa, dieci figli uno dopo l’altro, una
grande miseria. A nove anni mi hanno venduta a un
ambulante, mi hanno venduta per cinque lire, ma lui
mi adoperava come schiava. Il primo giorno mi dice:
«T’seti fé i basin?» (sai fare i baci?)
L’indomani fa l’amore con me e
vuole che lo faccia anche con degli altri. Sono scappata,
sono andata da serventa nelle cascine, ho vissuto così
fino quasi ai vent’anni. Poi mi sono sposata, ho avuto
quattro figli, e preferirei morire piuttosto di rivivere il
mio passato.
......
Eh, qui ce n’era miseria. Chi poteva scappava in Fran-
cia o in America. La nostra vita era tutta in questi buchi,
lungo il Belbo.
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Eh, ce n’erano tante che abortivano. Marcellina a undici anni è rimasta
incinta del padre. Io mi ricordo che a volte c’erano di quelle
che mai più l’avresti detto, magari non andavano con un
altro ma andavano con il padre. . E fin che poteva farla pulita tutto andava,
domani che restava incinta le cose si scoprivano.
Una della mia età, aveva sedici anni, ha tentato
di abortire con il ferro da maglia, tante facevano così, era
come morta nel letto per l’infezione e nel delirio mi diceva...
Oggi Pinocchio si stà risvegliando e pian piano scopre che il Paese dei balocchi non c'è più.
E con orrore si accorge di essere diventato un asino.
Ce lo ricorda l'autore attraverso le parole di un'intervistato, come in un lugubre presagio :
Vuole sapere che cosa penso della vita di oggi?
La vita è cambiata, ma è una vergogna
Si parla di progresso: era più salute nel mangiare quan-
do mi sono allevato io che adesso che si mangiano le bi-
stecche, tutto artificiale.
Oggi non ci sono leggi, c’è solo ladri. Ma così non
dura. Succede una guerra mondiale, il secolo si finisce
ma non in bene, il secolo si finisce distrutto, succede
una guerra mondiale. Guardate le formiche, una deve
ammazzare l’altra, quando non c’è più posto nella tana...
I giovani di oggi? Ah! A scuola non gli insegnano
nemmeno come è stata la nostra vita, cosa volete che
sappiano.
Buona lettura
Mario
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