Per la sintesi del K bromato (ved. post dedicato a parte) avevo iniziato con due semplici carboncini immersi in un becker; poi visto che la sintesi lo meritava e che una semplice cella elettrolitica è sempre utile, ho provveduto a costruirla in maniera un po' più decente.
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Posto il carbone come materiale multiuso per gli elettrodi, mi sono procurato due carboni di storta "per scriccatura" (event. ved. Google). Sono simili a quelli delle pile zinco-carbone, ma lunghi circa 30 cm e ramati in superficie. Purtroppo non sono facili da trovare, ma il solito amico ha provveduto...
Per sramare i carboni basta immergerli nell'HNO3 semiconcentrato e lasciarceli quanto basta; poi lavarli accuratamente ed il gioco è fatto.
Fin che si sramavano i carboni, ho preparato il supporto per gli stessi da porre in testa alla cella.
Con una punta a tazza da 60 mm ed il trapano a colonna ho ricavato un disco da un ritaglio di lastra di plexiglass spessa 12 mm, praticando poi due fori dell'esatto diametro dei carboni (6,5 mm) per il passaggio degli stessi. Questi devono inserirsi a pressione nei fori, con perfetta tenuta, per evitare trafilatura di tracce di liquido durante l'elettrolisi. Questa è l'operazione più delicata perchè gli elettrodi sono molto fragili e per flessione si rompono facilmente. Inseriti i carboni nel supporto, ho poi messo due fascette di rame con capocorda alle quali collegare i fili della corrente ed un velo di grasso siliconico attorno al foro e sulle fascette.
Come contenitore della cella ho usato un becker cilindrico (quelli senza beccuccio) da 120 ml, che si è dimostrato di diametro e capacità "strategica".
Le foto, fatte per il primo prototipo della cella, mostrano ancora i carboni di prova (sono asimmetrici e troppo corti all'interno, poi ho messo quelli definitivi).
Gli elettrodi non devono raggiungere il fondo della cella perchè occorre lasciare lo spazio per l'ancoretta magnetica dell'agitatore, che è indispensabile durante l'elettrolisi.
Ho fatto un discorso lungo per una cosa semplice, ma ho voluto essere esauriente; una celletta ben fatta ripaga abbondantemente e invoglia a sperimentare, mentre un accrocco che sta in piedi in qualche modo magari funziona ma agisce (almeno nel mio caso) in maniera opposta...
La cella è stata usata per la sintesi elettrolitica del bromato ed ha funzionato in maniera egregia, senza lasciar uscire la fastidiosa pioggia di microgoccioline ma solo quello che doveva andarsene (l'idrogeno!).
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Posto il carbone come materiale multiuso per gli elettrodi, mi sono procurato due carboni di storta "per scriccatura" (event. ved. Google). Sono simili a quelli delle pile zinco-carbone, ma lunghi circa 30 cm e ramati in superficie. Purtroppo non sono facili da trovare, ma il solito amico ha provveduto...
Per sramare i carboni basta immergerli nell'HNO3 semiconcentrato e lasciarceli quanto basta; poi lavarli accuratamente ed il gioco è fatto.
Fin che si sramavano i carboni, ho preparato il supporto per gli stessi da porre in testa alla cella.
Con una punta a tazza da 60 mm ed il trapano a colonna ho ricavato un disco da un ritaglio di lastra di plexiglass spessa 12 mm, praticando poi due fori dell'esatto diametro dei carboni (6,5 mm) per il passaggio degli stessi. Questi devono inserirsi a pressione nei fori, con perfetta tenuta, per evitare trafilatura di tracce di liquido durante l'elettrolisi. Questa è l'operazione più delicata perchè gli elettrodi sono molto fragili e per flessione si rompono facilmente. Inseriti i carboni nel supporto, ho poi messo due fascette di rame con capocorda alle quali collegare i fili della corrente ed un velo di grasso siliconico attorno al foro e sulle fascette.
Come contenitore della cella ho usato un becker cilindrico (quelli senza beccuccio) da 120 ml, che si è dimostrato di diametro e capacità "strategica".
Le foto, fatte per il primo prototipo della cella, mostrano ancora i carboni di prova (sono asimmetrici e troppo corti all'interno, poi ho messo quelli definitivi).
Gli elettrodi non devono raggiungere il fondo della cella perchè occorre lasciare lo spazio per l'ancoretta magnetica dell'agitatore, che è indispensabile durante l'elettrolisi.
Ho fatto un discorso lungo per una cosa semplice, ma ho voluto essere esauriente; una celletta ben fatta ripaga abbondantemente e invoglia a sperimentare, mentre un accrocco che sta in piedi in qualche modo magari funziona ma agisce (almeno nel mio caso) in maniera opposta...
La cella è stata usata per la sintesi elettrolitica del bromato ed ha funzionato in maniera egregia, senza lasciar uscire la fastidiosa pioggia di microgoccioline ma solo quello che doveva andarsene (l'idrogeno!).