Cosa fa il chimico? Dal petrolio alle patatine

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2022-03-18 18:29

Pubblicato originariamente sul blog di Italia Unita per la Scienza il 19.08.2018. Dato che il sito ormai è andato in malora, per non perdere questo contributo, ho deciso di riportarlo qui per i posteri :-D È mezzogiorno e sto camminando sotto il sole cocente con il mio fidato, enorme zaino. Fa caldo, un caldo terribile. Faccio un respiro profondo e mi faccio forza per continuare. Nel mentre ripenso alle espansioni dei gas, alla termodinamica, all’entalpia: tra poco ho un esame di chimica fisica. Sono l’unico in giro a quanto pare. È il primo agosto e nella mia zona universitaria non c’è nessuno. Non solo: tutte le persone sembrano essere scomparse. Dove sono gli studenti che ogni giorno affollano queste strade? Comunque… ho fame. La mensa è chiusa e devo trovare un bar. Sembra essere tutto deserto. C’è un uomo; mi avvicino: «Scusi, c’è un bar aperto da queste parti?», chiedo affannato e affamato. «Sì, qui dietro l’angolo, fanno anche dei primi molto buoni», risponde, poi mi fissa un attimo. Io lo guardo come se aspettassi una domanda, quindi mi fa: «Senti ma… che ci fai il primo agosto con lo zaino?». «Devo sostenere un esame di chimica» replico. «Ah, un chimico! … Ma, scusa se te lo chiedo, cosa fa un chimico poi nel mondo del lavoro?». A quel punto, prima di dileguarmi, ho risposto con un semplice: «Progetta i farmaci che prende ed evita che ingerisca sostanze tossiche dall’acqua del rubinetto. Comunque, sono di fretta, grazie, saluti!». Sarà come minimo la centoquarantaquattresima volta che mi sento porre una domanda del genere dai non addetti ai lavori, da quando ho iniziato l’università. Non è possibile che nessuno sappia il ruolo che il chimico ha nella società! Parliamone insieme. Prima di tutto vorrei introdurvi questa citazione [1] del famoso chimico Primo Levi (1919-1987) che, a quanto pare, aveva avuto lo stesso problema. Credo sia una domanda ciclica rivolta ad ogni chimico almeno una volta nella vita. Sappiamo tutto sui minatori, sui ladri, sui ragazzi di vita, sulle prostitute, ma sui chimici sappiamo pochissimo: nessuno se ne è mai occupato. Eppure, l’arte del chimico contiene spunti e stimoli che meriterebbero di essere conosciuti. […] Ho la tentazione di fare dei racconti proprio sul mio mestiere. Ma quindi, un chimico, che fa? Partendo dalla definizione classica di chimica: egli studia la materia, le sue proprietà e le sue trasformazioni. Un chimico è una persona che sa (o vuole sapere) come si comporta la materia in determinate condizioni e come trasformarla secondo le proprie esigenze. Ovviamente questa è la definizione generale e ci sono varie branche della chimica. Non me ne vogliano alcune persone per quelle che trascurerò, ma i capisaldi sono senz’altro: chimica organica, chimica analitica, chimica industriale, biochimica e chimica fisica. Queste non sono le uniche, ma per questo scopo divulgativo ci basterà considerare solo le suddette (che tra l’altro, possono essere divise a loro volta in altre sotto-branche molto più specifiche) [2]. Vorrei altresì precisare al lettore che questo è un articolo molto, molto generale e serve solamente per dare un’idea a tutti delle figure professionali: il tutto è frutto della mia esperienza personale ed è necessario dire che le sfumature e le abilità che ogni branca porta con sé sono veramente infinite. Andiamo con ordine. Il chimico organico, secondo me, è colui che più di tutti incarna la figura del chimico che generalmente viene passata all’interno della società: l’uomo con il camice bianco – sporco – in laboratorio, sempre pronto a mischiare reagenti con una risata malefica in sottofondo, con lo scopo di ottenere nuovi prodotti. Insomma, come in Breaking Bad: sì, Walter White è un chimico organico. Ma torniamo seri e alla realtà. Per farla breve, gli organici si occupano della chimica del carbonio e di pochi altri elementi detti “eteroatomi” (principalmente O, N, P, alogeni): idrocarburi, zuccheri, aromi, farmaci per fare alcuni esempi, al contrario del chimico inorganico, che ingloba altri elementi come i metalli di transizione, per lo studio di catalizzatori, cluster [2] o più “naturalmente” minerali e rocce. Essi stanno in laboratorio a cercare nuove metodologie di sintesi, sempre più efficaci, per ottenere nel modo migliore possibile (e possibilmente senza sprecare risorse) farmaci, plastiche, prodotti per la casa, aromi (sintetizzati), coloranti, fibre, tessuti, fertilizzanti, bombe (sì, c’è anche questo lato), e la lista potrebbe continuare per pagine e pagine. Nella storia della chimica ci sono state tantissime scoperte avvenute per caso da parte di chimici organici, basti pensare al noretindrone (o “pillola”)! Il chimico analitico, rimanendo nel campo industriale, lo troviamo alla fine dei processi, nel così detto “controllo qualità”. A lui spetta il controllo ultimo della materia prodotta, accettando o meno il risultato secondo una serie di parametri posti dall’azienda e dalla normativa. Mentre il chimico organico crea e produce, il chimico analitico analizza e confronta i risultati. Questo composto è puro? Questo farmaco contiene solo quello che ci siamo detti contenga o magari possiede ancora una parte per miliardo di metalli pesanti tossici dovuti al processo di sintesi? Quest’acqua è potabile da un punto di vista chimico? Contiene arsenico? Se sì, quanto? Queste sono alcune delle domande in vari campi lavorativi che il chimico analitico si pone costantemente. È una sorta di barriera e tutela verso l’ambiente e il consumatore finale. Quando ingerite delle vitamine sintetizzate da un chimico organico è necessario sapere se sono esattamente uguali a quelle che troveremmo in natura e, come già detto, che non contengano elementi dannosi come contaminanti o inquinanti. Ancora una volta chiamerò in causa Primo Levi per parlarci di queste due differenze [4]: Noi [chimici] montiamo e smontiamo delle costruzioni molto piccole. Ci dividiamo in due rami principali, quelli che montano e quelli che smontano, e gli uni e gli altri siamo come dei ciechi con le dita sensibili. Dico come dei ciechi, perché appunto, le cose che noi manipoliamo sono troppo piccole per essere viste, anche coi microscopi più potenti; e allora abbiamo inventato diversi trucchi intelligenti per riconoscerle senza vederle. […] Quelli che smontano, cioè i chimici analisti, devono essere capaci di smontare una struttura pezzo per pezzo senza danneggiarla troppo; di allineare i pezzi smontati sul bancone, sempre senza vederli, di riconoscerli uno per uno, e poi di dire in che ordine erano attaccati insieme. Oggigiorno hanno dei begli strumenti che gli abbreviano il lavoro, ma una volta si faceva tutto a mano, e ci voleva pazienza da non credere. Io però ho sempre fatto il chimico montatore, uno di quelli che fanno le sintesi, ossia che costruiscono delle strutture su misura. In genere, però, su larga scala abbiamo bisogno del chimico industriale, che a sua volta è affiancato dai suoi cugini ingegneri chimici: i due non sono la stessa figura professionale, anzi, sono molto diversi. Il primo generalmente applica in grande quello che il chimico organico scopre nel suo piccolo – se parliamo di ricerca, ma i chimici organici li troviamo un po’ ovunque nelle aziende e in campo industriale, sono essenziali nei processi di produzione. Generalmente molte reazioni che avvengono “bene” in laboratorio vanno traslate e trasformate per funzionare adeguatamente e con un’ottima resa in un impianto enorme. A questo ci penserà il chimico industriale. Una volta che questi avrà progettato il metodo di produzione completo (passaggi, reagenti, condizioni), sarà infine compito dell‘ingegnere chimico occuparsi della progettazione fisica, materiale dell’impianto. Parliamo di tubi e camere giganti, alte pressioni e temperature, nonché un attentissimo controllo e valutazione dei rischi e delle misure di sicurezza. C’è una bella differenza tra passare a produrre un grammo di sostanza al produrne diverse centinaia di tonnellate l’anno… Ma la chimica industriale è anche la chimica del petrolio. Vi stupirà probabilmente sapere che di tutto il petrolio estratto ne bruciamo quasi il 99%, per ottenere energia. L’1% rimanente è utilizzato per ottenere tutti i precursori di sostanze chimiche necessarie alla produzione dei prodotti che oggi utilizziamo costantemente e di cui non potremmo fare a meno, tra cui le plastiche, i detergenti e… insomma, guardatevi intorno, è tutta chimica! Forse alcuni di voi dopo aver letto la frase precedente storceranno il naso, ma vi ricordo che “chimico” non è uguale a dire “velenoso” o “pericoloso”. Tutto ciò che è chimico è naturale, e viceversa. Questo comunque lo lasciamo ad altri articoli. Il biochimico si occupa della chimica applicata ai sistemi biologici. Come funziona la respirazione cellulare? Ovvero il processo con cui il nostro corpo trasforma nelle cellule il “cibo” che ingeriamo e l’ossigeno che respiriamo in energia. Il suo ruolo, semplificando, include lo studio degli enzimi, delle proteine, dei processi di reazione negli organismi viventi. Dovete pensare che noi siamo “macchine chimiche”, e che nel nostro corpo avvengono ogni nanosecondi centinaia e centinaia di reazioni chimiche, alcune più rapidamente di altre, ma ognuna di esse comunque contribuisce a mandare avanti la baracca. Se usciamo invece dall’uomo e ci soffermiamo su altri esseri viventi, provate un po’ a ripensare alla fotosintesi clorofilliana che noi tutti abbiamo studiato alle medie. Conoscere come avvengono a livello molecolare tutti questi fenomeni è compito del biochimico. Da ultimo, ma non per importanza, abbiamo il chimico fisico. Egli si occupa di capire come funzioni la materia a livello fisico: quali sono le proprietà delle molecole, degli atomi e oltre, come funzionano le reazioni chimiche a livello della così detta cinetica, cioè la velocità, o a livello di termodinamica cioè: “Come faccio ad ottenere più prodotti? Posso aumentare la pressione, la temperatura? Utilizzando qualcos’altro?”. O ancora, egli può studiare le varie interazioni tra molecole o come si integrano teorie come quella della relatività in chimica. Sono campi non facilissimi da spiegare ai non addetti ai lavori, quindi mi limiterò a dire che fanno cose molto utili utilizzando molta matematica, fisica e statistica. Un’ultima osservazione, dato che mi è stata fatta anche questa: no, i chimici generalmente non si occupano di batteri, di microscopi o di analisi del sangue (con le dovute eccezioni e particolarità). Per questo genere di cose è più corretto parlare di altri membri della famiglia della scuola di Scienze, come i biologi o i biotecnologi. Per quest’ultimi, specialmente, vi rimando ai numerosi post del caporedattore Bertacchi (che non mancano mai)! Tornando ai chimici, un esempio che mi piace proporre per far capire come si intrecciano tutte queste figure professionali è quello delle patatine. Prendete in mano un pacchetto di patatine. Sapete quante persone – in generale – hanno lavorato a quel prodotto apparentemente banale? Toccate l’involucro esterno: quello è un materiale da imballaggio contenente un polimero sul quale ha lavorato un chimico organico, prodotto da un chimico industriale. Le patatine sono state analizzate da un chimico analitico, che ha stabilito secondo la normativa le quantità presenti di elementi o composti estranei, dando l’ok per la messa in commercio o meno del prodotto. Altri ancora, prima di lui, hanno testato quanto del suddetto polimero poteva essere trasferito all’alimento, dopo quanto tempo e in quali dosi. In base a questo e ad altri fattori è stata scritta quindi una data di scadenza. Infine, il pacchetto è un po’ gonfio: dentro è presente dell’innocuo ma efficacissimo protossido d’azoto per impedire all’aria e ai batteri di entrare e di ossidare l’alimento al suo interno. Quanta chimica, quanti chimici dietro ad un singolo pacchetto di patatine. Insomma, guardatevi intorno e ditemi se esiste un singolo oggetto sul quale un chimico non abbia messo mano. Pensate alla vernice delle vostre pareti, alla maglia in poliestere che indossate, alla benzina che utilizzate per far andare l’auto, o ancora alle vitamine che prendete se vi sentite un po’ fiacchi. Il chimico ha quel ruolo dietro le quinte della società che nessuno – a quanto pare – conosce, ma che è essenziale al nostro benessere, per garantirci sempre farmaci affidabili e innovativi, nuovi materiali e una certa sicurezza contro contaminazioni e inquinamento. Note [1] Marco Belpoliti, Primo Levi di fronte e di profilo, Parma, Guanda, 2015, p. 256. [2] https://it.wikipedia.org/wiki/Cluster_(chimica) [3] Per motivi di lunghezza ho evitato di riportare e spiegare numerose altre categorie e branche, come: chimica inorganica, chimica verde, chimica dei nanomateriali, chimica degli alimenti, chimica bioinorganica, chimica nucleare, geochimica… [4] Primo Levi, La chiave a stella (Acciughe I), Torino: Einaudi, 1978.

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