Costruzione di celle elettroforetiche

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ClaudioG.

2018-06-20 01:46

L'elettroforesi è una procedura analitica di separazione di macromolecole, come proteine e acidi nucleici, in base al loro peso molecolare, sfruttando un campo elettrico. La separazione avviene in un gel, che separa le molecole setacciandole: queste, spinte dal campo elettrico, viaggiano attraverso le maglie del gel con una velocità che è inversamente proporzionale alla loro lunghezza. È superfluo dire che è il pane quotidiano di noi biologi e biotecnologi, che la usiamo per verificare i risultati di esperimenti vari, amplificazioni, estrazioni, restrizioni, purificazioni, etc. o per isolare piccole quantità di DNA o proteine destinandole ad analisi ed elaborazioni successive (Spettrometria di massa, PCR, etc...).    Descriverò meglio la teoria e gli innumerevoli dettagli tecnici e operativi in un altro post, perché qui voglio soffermarmi sulla costruzione fisica di due camere per elettroforesi, una orizzontale (usata generalmente per separare grandi molecole come DNA RNA con un gel di agarosio, che ha maglie molto lasse) e una verticale (usata per separare le proteine in un gel di poliacrilammide, che ha maglie più strette di quelle dell'agarosio). La prima costruita, per la facilità del modello, è quella orizzontale. La costruii due annetti fa per completare un progetto pratico un po' più ampio sulla separazione del DNA ristretto per la tesina di maturità. Quella verticale invece l'ho realizzata un paio di giorni fa, perché mi è venuta una grande voglia di poter separare proteine. Eccole qui, nella loro versione completa:

INSIEME-min.jpg
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  NB. Trascuro qui le informazioni relative ai gel, alla loro composizione e realizzazione in laboratorio: ne parlerò a parte in futuro.   A) Generalità operative   Il principio guida alla base di tutto è l'economicità: le celle elettroforetiche del commercio, cioè essenzialmente pezzi di plastica modellati con degli elettrodi dentro, costano sui 100 euro per i modelli più semplici. Il punto critico sono gli elettrodi: la loro tendenza ad ossidarsi (e l'assoluta necessità che sui gel non giungano i residui di ossidazione) fa sì che vengano usati nel commercio solo degli elettrodi in platino. Io ho usato del filo di cromo, di una resistenza decente e di un costo minore (il che consente di sostituirli quando iniziano a logorarsi).   Il materiale di base per la struttura delle camere, di dubbia lavorabilità all'inizio ma rivelatosi poi perfetto per lo scopo, è il Plexiglas, polimetilmetacrilato (PMMA). Ne ho comprato (per una 40ina di euro) una grande lastra su ebay, con spessore di 0,5 cm, e l'ho tagliata, dopo aver preso accurate misure, con una sega circolare per legna, che lo taglia di netto e senza fatica (attenzione alle dita). Per l'incollaggio provai all'inizio varie colle, ma poi vedendo le tabelle di solubilità ho notato che il diclorometano, che ho in quantità, è un buon solvente per il PMMA. Infatti, ponendo i due pezzi da attaccare l'uno a contatto con l'altro, e passando delicatamente con l'ago di una siringa piena di DCM  (di vetro preferibilmente, per ovvie ragioni) lungo la giuntura dei pezzi, il solvente vi entrerà per capillarità, sciogliendo parzialmente la plastica. Non occorre sparare il liquido col pistone, basta sostenerne molto dolcemente l'uscita, ne serve davvero poco. Tenendo premuti i pezzi con fermezza (notare che a questo livello è ancora possibile un certo margine di correzione della posizione) e attendendo qualche secondo, il DCM evaporerà, lasciando saldamente incollate le due superfici.    NB Il diclorometano scioglie il PMMA, lasciando bruttissime macchie opache se lasciato evaporare su una superficie libera: per evitare che ciò avvenga, mantenere la pellicola protettiva nelle porzioni da non incollare, tagliandone delle striscioline solo in corrispondenza dei punti di incollaggio. Mantenere poi a bada la siringa, poiché il DCM, lo sapete bene, odia starsene tranquillo in qualsiasi aggeggio lo si metta per movimentarlo. Per quanto possibile ho provato a far lo stesso ma qualche gocciolina è capitata nei posti sbagliati.    NB#2 Il diclorometano è un diavoletto da trattare con cautela: è un sospetto cancerogeno, irrita la pelle e le vie respiratorie, e causa danni a vari organi se penetra nell'organismo. Le quantità in gioco sono irrisorie, ne basteranno 50 microlitri per incollare due lastrine, ma è bene areare l'ambiente, mantenere il solvente nella siringa e non stare col naso sui pezzi mentre evapora. Indossare i guanti sarebbe opportuno, se non fosse che ostacolano moltissimo il lavoro incollandosi dappertutto.    si si   Dopo averle saldate, le lastre non vanno forzate per qualche tempo: è necessario far indurire bene la plastica per avere una forte rigidità (riesce davvero molto resistente). Una volta messa insieme la struttura di plastica, è bene testarne la tenuta dell'acqua: riempire le camere con acqua di rubinetto e verificare che non perda, sia nell'immediato che dopo qualche ora (piccole fessure possono sempre nascondersi). Se si rilevano perdite, si può aggiungere un altra gocciolina di DCM (se si vede, in trasparenza, che non è stata sciolta un'intera sezione dell'interfaccia tra i pezzi) oppure procedere come segue. Per riempire i piccoli buchini che normalmente si creano, ho sciolto qualche quadratino di PMMA in un uguale volume, circa, di DCM, e ho prelevato la soluzione molto viscosa con una siringa in plastica (in vetro si rovinerebbe). Lo scopo di ciò è applicare sulle parti mal saldate un cordone di tale soluzione, del quale rimarrà solo uno strato -molto stabile e rigido- di PMMA dopo che il DCM sarà evaporato.   Per quei pezzi nei quali servivano dei buchi (passaggio elettrodi e portagomma) ho usato un trapano a colonna. (NB Tenere il pezzo con una pinza o fissarlo: la punta del trapano può incastrarsi in esso e farlo ruotare ferendo gravemente le mani).   Relativamente al circuito elettrico, la faccenda è delicata: a causa degli alti amperaggi erogati dagli alimentatori per elettroforesi il contatto accidentale con le parti in tensione può essere letale. Le celle commerciali sono progettate per togliere la tensione agli elettrodi se si apre il coperchio, e io ho imitato l'idea di base. Per entrambe le celle ho usato dei raccordi in gomma ben incollati ai connettori a banana e al coperchio: aprendo questo i connettori (maschi) si disconnettono con le femmine avvitate alla camera sottostante. È bene notare che, al contrario delle mille paranoie inutili su altri tipi di pericoli, questo è molto serio. Lo shock elettrico può dare paralisi respiratoriaspasmi muscolariustioni. Può bloccare il cuore e farlo impazzire, uccidendo. Non c'è da scherzarci e prima di accendere l'apparecchio bisogna controllare e ricontrollare tutto, tenendo lontani liquidi, persone non informate del pericolo e materiale di ingombro. Il disordine non è ammesso in questi casi, perché è molto facile inciampare, rovesciare la cella, farci cadere qualcosa sopra. Tutte le superfici, poi, devono essere asciutte. Durante la corsa elettroforetica è bene stare a distanza, e una volta accesa la corrente l'unica operazione consentita è agire sull'interruttore dell'alimentatore per spegnerlo, disconnettendo i cavi da questo prima di aprire la cella. Lavorare con la testa e senza fretta quando c'è in gioco la corrente può far la differenza tra un post-laboratorio sereno e una corsa in ospedale (se va bene). Detto questo, ci sarebbe da parlare dell’alimentatore in continua, ma io l’ho semplicemente comprato usato ad un prezzo convenientissimo (30 euro) su ebay. Credo che persone molto abili in elettronica e robe simili possano anche costruirlo, ma di questo lascio parlare qualcuno più esperto. Per gli elettrodi, come detto, ho usato del filo di cromo regalatomi qualche tempo fa dal gentilissimo Dr. Zolghetti.   B) Dettagli delle celle    B.1)   Cella orizzontale È quella strutturalmente più semplice, ed è in pratica una vasca rettangolare con il centro rialzato. Su questo viene adagiato il supporto del gel (con il gel di agarosio dentro), mentre sulle porzioni incavate laterali sono alloggiati gli elettrodi. Il filo di cromo percorre integralmente i due lati minori della cella, ed è connesso con un dado ai connettori femmina (ben avvitati alla camera). Il coperchio ha due fori per i connettori maschi a banana dei cavi di alimentazione, che si inseriscono a pressione nei bottoni in gomma incollati al coperchio stesso, in corrispondenza dei fori. Rimuovere il coperchio mentre il sistema elettrico è collegato, dunque, comporterà la disconnessione degli spinotti dalle prese della cella. Di seguito le foto della costruzione, della cella aperta, chiusa, del sistema di connessione degli spinotti, della cella con dell'acqua colorata per evidenziare le parti bagnate, e della cella connessa.
costrorizz-min.jpg
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costrorizz2-min.jpeg
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orizzchiusa-min.jpg
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elettr1-min.jpg
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elettr2-min.jpeg
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oriz aperta-min.jpg
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orizz connessa.jpg
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  B.2)   Cella verticale Pur avendo una identica funzionalità, la forma della cella verticale è più complessa dell’altra. Ciò è dovuto alla conformazione dei gel di poliacrilammide e dei loro supporti, che richiedono di esser posti in verticale per avere un contatto separato, sui lati superiore e inferiore, con due differenti camere di tampone. Il progetto è stato molto sofferto, ed inizialmente pensavo di copiare spudoratamente quello degli apparecchi commerciali. Poi però ho raffinato la cosa, e una notte (per davvero asd) ho avuto l’idea che ha portato alla forma attuale. Di seguito un paio di foto del disegno abbozzato.
dis1-min.jpeg
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dis2-min.jpeg
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Nei modelli in commercio il gel di PA è immerso (tra i suoi supporti) in una grande vasca, con la facciata posteriore delimitata da una guarnizione e quella anteriore esposta al tampone della vasca (nel quale è immerso l’elettrodo positivo). L’ambiente a contatto con la facciata posteriore, invece, contiene un altro volume di tampone e l’elettrodo negativo. Il supporto che contiene il gel è progettato in modo da far contattare il tampone posteriore (elettrodo -) con il lato superiore del gel (quello con i pozzetti), e il tampone anteriore (elettrodo +) con il lato inferiore del gel. Dando ddp, quindi, le proteine migreranno dall’alto verso il basso. Questa conformazione è però complessa da realizzare e richiede molto materiale (basta cercare su Google i modelli della BioRad per rendersene conto).   La mia camera è una versione più compatta di questi, ma adatta comunque ai comuni gel di dimensioni standard 8*8 cm. La grande vasca è sostituita dalla piccola vaschetta alla base della cella, nella quale c’è il filo di Cr che fa da elettrodo positivo. L’ambiente posteriore è invece dato dalla vaschetta superiore (contenente l’elettrodo negativo), che si affaccia liberamente sull’apertura superiore delle lastrine del gel. Queste lastrine vengono poste in verticale, adagiate sulla parete e compresse su essa. A garantire la tenuta della camera superiore (il tampone non deve cadere né contattare quello della vasca inferiore, per evitare problemi di linearità della tensione) è posto un foglio di gomma da 2 mm (in blu), sagomato in modo adatto. La compressione (e quindi la tenuta) è data da due listelli di PMMA forati, che si avvitano con dei bulloni a dei fori integrati nella parete della cella e che premono sulle lastrine dei gel. Solo dopo aver montato tutto mi sono reso conto che il gel non dissipava abbastanza il calore dovuto al passaggio della corrente, e quindi ho aggiunto un piccolo serbatoio per il ricircolo di acqua fredda nella facciata posteriore, con due portagomma saldati in due fori nel solito modo.  Il coperchio è molto semplice, e ha il solo scopo di evitare contatti con le parti in tensione mentre la cella è connessa. Gli spinotti dell’alimentazione si inseriscono nel coperchio con un sistema identico a quello della cella orizzontale, e anche il principio dello sgancio di sicurezza è analogo. Di seguito, costruzione e dettagli del corpo della cella. 
costr1-min.jpg
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costr2-min.jpg
costr2-min.jpg
costr4-min.jpeg
costr4-min.jpeg
 
vert esposta-min.jpg
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Vert FRONTE (2)-min.jpg
Vert FRONTE (2)-min.jpg
vert gel-min.jpg
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vert latodx-min.jpg
vert latodx-min.jpg
vert lato-min.jpg
vert lato-min.jpg
 
vert connessa.jpg
vert connessa.jpg
Ho fatto anche un file 3D SketchUp (per maggiore chiarezza ci sono tre celle: una senza gel, una col gel ma senza serbatoio e una completa) con le quote esatte (in m, da considerare come cm), per verificare che tutto combaciasse correttamente prima dell’assemblaggio fisico. Ho provato ad allegarlo ma non riesce, comunque se dovesse servire a qualcuno io son qui ;-)
skpp1.jpg
skpp1.jpg

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Roberto

2018-06-20 08:24

Davvero un lavoro ben fatto, ne avevo solo sentito parlare e la tua esposizione è stata molto interessante e istruttiva. Non credo di poter replicare il tuo lavoro, che a parte l'alimentatore HT che probabilmente riuscirei a costruire, il resto mi sembra davvero troppo laborioso, inoltre non saprei dove trovare il gel e l'elettrodo, ma è un progetto molto interessante. Due curiosita':  Come fai a tracciare le proteine dopo la "corsa" (indicatori, reagenti, UV) ?                        L'alimentatore che range di tensione fornisce alla cella ? Sarebbe interessante, sempre se hai tempo, postare un esempio pratico con le foto dei risultati ottenuti. Grazie del tuo lavoro e del tuo impegno, sono un ottimo stimolo per questo forum assonnato  :-D Roberto.

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ohilà

2018-06-20 10:03

Complimenti davvero Claudio! Splendido lavoro...  :-D Quando vuoi postare le tue diavolerie "biologiche" noi poveri chimici stiamo volentieri ad imparare!  *Hail* E mi associo a Roberto. Aspettiamo ora la prova pratica.

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ClaudioG.

2018-06-20 11:19

Roberto ha scritto:

che a parte l'alimentatore HT che probabilmente riuscirei a costruire

Due curiosita':  Come fai a tracciare le proteine dopo la "corsa" (indicatori, reagenti, UV) ? 

                      L'alimentatore che range di tensione fornisce alla cella ?

Ma guarda che quel che ho fatto è davvero banale, nel concetto, basta tagliare e unire delle lastre   si si . Per l'alimentatore invece io davvero non saprei dove mettere le mani  asd

Per il tracciamento delle proteine ne parlerò bene a parte, ma in generale bisogna distinguere tra la visualizzazione del fronte di corsa elettroforetico e la colorazione vera e propria delle bande. La prima è necessaria per vedere come procede la corsa, ed evitare che i campioni oltrepassino il gel fuoriuscendo da esso, e si fa aggiungendo al campione un loading dye contenente blu di bromofenolo o simili (che migrano verso il positivo un po' più velocemente delle comuni proteine). La seconda serve invece per vedere il risultato effettivo della separazione, e si usano due metodi principali: il blu di coomassie (un po' meno sensibile ma poco costoso e di facile esecuzione) e il silver stain con nitrato di argento (molto molto sensibile, ma costoso ed elaborato). Per entrambi i metodi non sono necessari gli UV, che invece sono generalmente impiegati per visualizzare le bande di DNA o RNA nei gel di agarosio colorati con un intercalante fluorescente. Ovviamente esistono molte varianti nella colorazione, ma le più usate sono queste. 

L'alimentatore invece eroga sui 270 V  :-D , e può scegliere di operare o a tensione costante (più comune) o a corrente costante, tenendo conto che ovviamente l'amperaggio varia durante la corsa e all'aumentare del voltaggio, e che oltre una certa corrente non si può andare per il rischio di fondere il gel e rovinare il campione.

Comunque grazie mille per l'apprezzamento  <3 <3

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TrevizeGolanCz

2018-06-20 11:32

Un'opera d'arte!!! Grande Claudio!

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ClaudioG.

2018-06-20 13:43

Ps. Mi sono dimenticato di rispondere: appena riuscirò a riunire tutti i reagenti per il gel di SDS-PAGE e il tampone farò ovviamente qualche corsa dimostrativa e la posterò, assieme a dettagli sia pratici e teorici su tutto quel che riguarda questa tecnica.

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Beefcotto87

2018-06-25 07:47

Bravissimo davvero! Per la mia tesi dovetti fare dei western-blot e mi ricordo ancora qualcosina xD

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