Film: L'uomo che verrà

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Dott.MorenoZolghetti

2012-01-29 16:42

In occasione della Giornata della Memoria ho visto con un caro amico questo film-documentario sceneggiato, prodotto e diretto da Giorgio Diritti (che ne ha curato anche il soggetto). Questo capolavoro di forte impatto emotivo ha vinto nel 2010 il Donatello come miglior film e il premio del pubblico come miglior film al Festival Internazionale del Film di Roma nel 2009, nella stessa occasione ha riscosso il gran premio della giuria. La trama è molto semplice: siamo nell'inverno del 1943, nelle campagne alle pendici del Monte Sole, a pochi chilometri da Bologna. L'Italia è attraversata da insidiose frotte di tedeschi sempre più "nervosi" per l'evolversi del conflitto a favore degli Alleati. Le campagne sono rastrellate alla ricerca di italiani disertori, cittadini dissidenti fuggiti dai centri per nascondersi, falangi della resistenza, ma alla gente del posto, umili contadini sempre più impoveriti dalla esecrabilità della guerra, vengono chiesti fiaschi di vino e uova. Ai soldati scappa qualche battuta grossolana sulle figliole prosperose, ma nulla di più. Vi è una quasi sensibile tolleranza al nemico invasore. Alla fine dei conti, quei soldati sono ragazzi non tanto più grandi dei figli dei mezzadri: sono lontani da casa, lontani dagli affetti, dalle cure delle loro madri.

La lotta partigiana però è vitale e pronta a colpire e lo fa fuori da una logica di guerra, a tradimento. Il risultato è ben noto a tutti: per ogni soldato tedesco ucciso, dieci italiani (a caso tra adulti, vecchi, donne e bambini) saranno fucilati. Iniziano così pressanti restrellamenti e continue lotte tra le fazioni: da una parte i giovani partigiani e dall'altre i giovani tedeschi. Caduti da entrambe le sponde, fino a quando, arrivano le SS e decidono di compiere un massacro: tutta le gente del paese (Marzabotto) viene stipata in chiesa o trasferita tra le mura del cimitero. Tutti saranno uccisi: fucilati quelli al cimitero, fatti saltare in aria quelli segregati in chiesa. Nessuno è risparmiato, neppure i sacerdoti che avevano cercato di mediare con le SS. Senza pietà vengono uccisi tutti e la scena al cimitero, quando i bambini vengono strappati alle madri per essere messi davanti al gruppo, così da non essere protetti dai corpi dei loro genitori, lì si coglie la negazione assoluta della pietà, vinta dalla follia e dalla barbarie. In questo squarcio di umane miserie si svolge la vita difficile di Martina e del suo fratellino, nato nella notte tra il 28 e il 29 settembre del 1944, proprio quando le SS iniziano la loro crudele rappresaglia.

E' questo un film tutto italiano, che racconta con il giusto pudore politico, le vicende emiliane che hanno segnato la storia del nostro passato. E vedendolo non ho trattenuto le lacrime ritornando con la memoria ai racconti dei miei nonni e alle loro sofferenze, quando nello stesso periodo i gruppi partigiani uccisero un soldato tedesco disarmato e la rappresaglia portò a contare undici giovani morti, presi a caso tra la gente innocente e alla distruzione di tutto il borgo con i lanciafiamme.

E a volte mi accade ancora di sentire parole di elogio rivolte a certi delinquenti che in nome della Resistenza hanno dato sfogo alle loro vendette e hanno portato la morte tra la gente onesta. Ci fu una Resistenza fatta di uomini che sacrificarono la vita per un ideale di libertà e di giustizia, che combatterono il barbaro invasore per rendere la patria agli italiani, per deporre il sadico tiranno. Non va dimenticato però che tra questi si nascosero dei facinorosi violenti e iniqui, pronti solo a trarre profitto dalla loro posizione di fuorilegge.

Consiglio questo film del 2009 anche per la pregevole fotografia di Roberto Cimatti e per la stupenda interpretazione in dialetto emiliano (sottotitolato per chi non se la cava con questo gradevole vernacolo) degli attori di ogni ruolo.

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al-ham-bic

2012-01-29 17:36

Apprezzo e condivido, leggendo questa esauriente recensione, la visione chiaramente obbiettiva delle vicende umane inserite in quel tremendo contesto che è la guerra.

La verità e la giustizia non sono mai nè quelle dei vinti nè tanto meno quelle dei vincitori, a posteriori più sospette.

La verità e la giustizia sono termini assoluti, non dipendono "dai punti di vista".

Ogni vicenda, dalla più grande alla più piccola, dalla più eroica alla più vile, dalla più idealmente giusta a quella più infamante hanno sempre protagonisti ben definiti, con un nome e un cognome.

A questi protagonisti, persone in carne ed ossa, vanno ascritti gli avvenimenti, nel bene assoluto come nel male, in campo amico e in campo nemico.

Giustificare le azioni inique in funzione del contesto sociale (siamo in guerra...!) può essere, ed è sempre stato, un ottimo alibi con cui si sono giustificati tutti i crimini dell'umanità.

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Già che siamo in tema di "memoria" mi piace ricordare il capolavoro di Primo Levi: se tutti noi come chimici abbiamo letto "Il sistema periodico", tutti noi come esseri umani non possiamo non aver letto "Se questo è un uomo".

Se ci fosse qualcuno che non l'ha letto lo faccia. Sarà una pietra miliare per la vita.

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